Qualche anno fa ho avuto la possibilità di visitare la città di Dresda. Una città che mi ha affascinato e riempito di suggestioni. Una città che è riuscita a ricostruire faticosamente e dolorosamente una sua identità architettonica dopo la II Guerra Mondiale. Il bombardamento di Dresda da parte della Royal Air Force britannica e della United States Army Air Force statunitense, avvenuto fra il 13 e il 14 febbraio 1945 , fu uno degli eventi più tragici, perversi ed "inutili" della seconda guerra mondiale.
Più sanguinoso: a causa del caotico afflusso di profughi, in fuga davanti all’avanzata russa, una cifra precisa dei morti non potrà mai essere stabilita. I cadaveri furono bruciati (a decine di migliaia, ammassati dalle ruspe, senza alcuna possibilità di riconoscimento) sopra pire improvvisate con rotaie ferroviarie. C’è comunque accordo sul fatto che le vittime, in una sola notte, non furono meno di duecentomila [...]
Più perverso : gli strateghi americani e inglesi predisposero minuziosamente modi e tempi del bombardamento, così da uccidere il maggior numero di civili (non c’erano quasi soldati tedeschi né difese antiaeree, a Dresda), non dando scampo neppure a chi era nei rifugi.
Si studiò, poi, il sistema per sterminare anche i soccorritori e per eliminare, come tocco finale, chi, per caso, fosse scampato. Perversa fu la scelta stessa dell’obiettivo da incenerire: la Firenze del Nord, forse il più prezioso – e ancora intatto – scrigno europeo di arte medievale, barocca, rococò.
Più inutile : in quel febbraio del 1945, il Reich agonizzava, a due mesi dalla fine. Gli Alleati erano al Reno, i Sovietici in Prussia, Hitler già si era murato nel bunker berlinese. Ancora pochi giorni e i Russi sarebbero entrati in una Dresda affollata da una turba disperata di vecchi, donne, bambini, fiduciosi di essere protetti dalla bellezza della città.
Malgrado ogni ipotesi e dietrologia, ancor oggi non si trova spiegazione possibile per quello che fu voluto lucidamente come il maggior massacro della storia, ma che nessuna ragione militare giustificava.
Questa apocalisse fu programmata in sei atti. Il primo atto fu alle 22 del 13 febbraio, con le squadriglie dell’avanguardia, incaricate di inquadrare l’area dell’olocausto con speciali bombe luminose: contro ogni convenzione e umanità, è il centro sovraffollato che si voleva polverizzare, senza sprecare colpi su fabbriche o aree ferroviarie.
Il secondo atto vide in azione un’ondata di quadrimotori che sganciò ordigni dirompenti, per sbriciolare i vetri e scoperchiare i fragili tetti in legno della città antica, così da creare correnti d’aria e facilitare il lavoro delle bombe incendiare. Queste – nella misura di ben seicentomila, scaricate da 400 aerei – furono le protagoniste del terzo atto.
A quel punto, Dresda non era che un mare di fiamme, l’operazione sembrava conclusa. In realtà, i pianificatori anglosassoni avevano deciso che questo non bastava: bisognava uccidere anche le turbe ammassate nei rifugi sotterranei e massacrare quanto restava di infermieri e pompieri in quella regione della Germania.
Ci fu, dunque, un quarto atto, alcune ore dopo. Mentre già fervevano i soccorsi, sul cielo di Dresda apparvero altre centinaia di bombardieri con un compito davvero diabolico: come si era scoperto colpendo Amburgo, stendere un tappeto di esplosivo su una città già in fiamme provocava il Fire Storm, una spaventosa «tempesta di fuoco», con venti a duecento all’ora e temperature fino a mille gradi. Le correnti d’aria arroventate causavano una tale saturazione di gas tossici da provocare la morte anche di coloro che erano nei rifugi più sicuri.
E così avvenne. Ma se per caso, malgrado tutto, ci fosse stato qualche superstite alla «tempesta»?
Americani e inglesi avevano dunque previsto un quinto atto, che completasse la «pulizia etnica»: quando il sole era già sorto, e da Dresda si levava una colonna di fumo visibile a 150 chilometri, giunse un’altra ondata, questa volta di cacciabombardieri americani, incaricati di mitragliare qualunque cosa si muovesse ancora sulle strade. Ma non era finita: per convincere davvero che per nessuno, solo in quanto tedesco, c’era scampo, la notte seguente (fu il sesto atto) fu sottoposta a bombardamento a tappeto Chemnitz, la città più vicina, dove qualche scampato era riuscito a rifugiarsi, grazie a una ferrovia che ancora funzionava.[...]
Ho realizzato questo breve filmato, che può essere utilizzato per eventuali approfondimenti sulla II Guerra Mondiale, montando spezzoni di documentari e foto scattate durante la mia visita alla città. Buona visione.
Il bombardamento di Dresda
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